Un Nobel postumo per il carismatico Arcieri - Press review
Da L'Opinione delle Libertà, 4 febbraio 2015
di Giuseppe Mele
L’occasione è buona per dare ragione alle idee del leader dei New Dada e dei Krisma. E per porsi qualche domanda sui destini tanto diversi vissuti tutt’oggi nello show business, per esempio dagli eterni Gianni Morandi e Raffaella Carrà e dall’isolato “Krismatico”. Ancora di più per chiedersi chi veramente, nell’area milanese varesotta, meritava il Nobel se Dario Fo, con la moglie Franca Rame, o piuttosto un Arcieri, con la moglie svizzera Christina Moser. I due, divisi da 15 anni di differenza risoltisi a vantaggio del più vecchio, non hanno carriere troppo diverse. I primi 10 anni del biondo Dario sono in Rai tra varietà e “Canzonissima”. Il decennio iniziale del biondissimo Maurizio è diviso tra gruppi beat, fotoromanzi e film leggeri incentrati sulla popolarità dei cantanti. Tra i due non c’è partita. Il cantante è nel ‘68 all’apice del consenso, il più bello in assoluto sulla scena, l’unico all’altezza delle popstar importate e dei David Bowie del momento. Gli impegnati potevano storcere la bocca sia davanti alle canzoni d’amore (le stesse, in italiano, dei Rolling Stones) che agli sketch “simil-Vianello”. Poi Dario e Maurizio sterzano. Il primo si butta in politica, satira impegnata di sinistra ed incomprensibile gramelot. Il secondo da Londra e New York diventa un antesignano del pop punk elettronico, destinato a dominare la scena nei decenni a seguire.
È l’epoca della musica ritmata afro giamaicana e dell’elettronica, più o meno dance. È il periodo in cui gli italiani per spopolare nelle disco si fanno passare da americani. Maurizio e la bella Moser, da sinceri naives non nascondono l’identità padan-alpina. Non si fanno passare da Depeche Mode latini. Ritessono il filo del mito tecnologico, onirico, tragico e vitalista della musica bianca tra l’evocazioni di “Ziggy Stardust” e la spietatezza dark e new age. Non sbracano, come gran parte degli altri gruppi della new wave italiana, sullo ziganismo terzomondista, su un piagnucoloso neopascolismo, o su un nostrano country. Non a caso sembrano i cattivi del “Novecento” di Bernardo Bertolucci o “futuristi 3.0”. Non inseguono vittimismi politico-sessuali, anzi elevano il sex pop a categoria artistica.
Ovviamente l’“establishment” culturale ha esaltato tutte le sfumature di errori e cantonate del Dario. E rifuggito neghittoso i pericolosi messaggi, neanche troppo subliminali, dei Krisma che trattano ostentatamente di tv e dei pappagalli trasformisti che abbaiano. La loro musica bianca, abbronzata a neve, esibizionista di forme e sesso, è italiana ed è punk, forma moderna di futurismo. Idolatrata in Giappone, qui finiva nei tuguri televisivi delle ultime trasmissioni kitsch. D’altronde Arcieri, da amico del popolo, non si vergognava di parlare dovunque e a tutti. Non aveva la furbizia e l’arte di chi, per testimoniare dell’eguaglianza tra gli uomini, ha bisogno di un palco ed una cattedra posti molto in alto. Ad Arcieri, vero interprete dell’innovazione e anticipatore del tempo di internet va un Nobel vero alla memoria, che risulterà meno fragile nel tempo di quelli burocratici.
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